La Chiesa

Il periodo di sacerdozio di Don felice si contraddistinse anche per la ristrutturazione e rinnovamento artistico della chiesa di San Marco. L’idea per la nuova sistemazione del presbiterio di San Marco nacque nel settembre del 1977, ma trovò concreta realizzazione negli anni successivi, quando lo scultore Nicola Sebastio si trovava a Castellabate, impegnato artisticamente nel restauro della chiesa di Santa Maria Assunta di Castellabate.

Seguendo i canoni del Concilio Vaticano II, secondo cui Cristo in croce è il centro di attrazione dell”uomo contemporaneo, l’artista Sebastio espresse in una grande croce cosmica, posta al centro del grande presbiterio dietro l’altare, la contemporaneità del Cristo e concluse il suo primo intervento con la creazione del tabernacolo ad un lato dell”altare e leggio con il vangelo esposto, dall’altro lato.

Nel 2001, parroco Don Bruno Lancuba, l’interno della chiesa subì un ulteriore e radicale trasformazione che modificò completamente gli affreschi e le decorazioni della primitiva cupola e portò alla edificazione ex novo della controsoffittatura con la conseguente eliminazione degli originali affreschi della volta, eseguiti nel 1962 dal pittore Aurelio Fabbricatore di Nocera e l’immagine del Santo, riprodotta su carta, dall”artista Salernitano Pasquale Avallone nel 1923.

Nel presbiterio fu abbattuto la grande parete di pietra su cui era collocato il grande Cristo cosmico di Nicola Sebastio, situato attualmente in alto sulla porta di ingresso. Nella porticina del tabernacolo fu modellata la cena di Emmaus con un gruppo di giovani che cantano e suonano, per ricordare che Cristo risorge. Successiva fu l”esecuzione del grande fonte battesimale in rame, con l’acqua che sgorga dalla pietra con cero Pasquale immerso nell”acqua stessa e decorato con scene e figure che ricordano gli eventi salienti della storia dell’acqua. Al termine dei lavori l’autore Sebastio dichiarò:

“Ho lavorato con fervore e gioia per i cittadini di San Marco, perché, guidati da Don Felice, prendessero maggiormente coscienza del luogo rinnovato, della celebrazione eucaristica. E questo un segno di maturità cristiana un messaggio da trasmettere alla comunità locale, ai turisti Italiani e stranieri, tutti qui riuniti nel nome del Cristo, Signore del cosmo e della storia.

L’intervento però, più decisive della sistemazione del tempio di San Marco fu la creazione e l’installazione di sette quadri, ideati da Sebastio, e collocati nelle nicchie che scandiscono i muri perimetrali della chiesa. I sette quadri (170×125) propongono una sintesi della storia, della cultura, della religiosità del popolo di San Marco e del territorio circostante. In conclusione della serie dei sette quadri è dipinto un episodio contemporaneo: l’incontro a Roma della Diocesi di Vallo della Lucania, guidata dal vescovo Casale, con Giovanni Paolo II, in occasione dell”anno della redenzione.

Il disegno a graffito della contro facciata, (dove attualmente è situata la croce cosmica) rappresenta Cristo risorto; al centro la basilica di San Marco a Venezia, gli apostoli, il grande Cristo risorto, nella cui raggiera sono inserite le parole del vescovo Romero “RISORGERO” NEL MIO POPOLO”. Tutta l’opera venne eseguita da Nicola Sebastio in collaborazione di alcuni giovani artisti del gruppo arte e comunità di Milano, committente don Felice Fierro, allestitore l”architetto Italio Iannuzzi. 

Il fonte battesimale venne realizzato nel 1979. Le due decorazioni illustrano: le obuzioni degli indiani nel Gange, il Battesimo per immersioni nelle isole Samoa degli ortodossi, il Battesimo di Cristo nel Giordano, il bagno degli ammalati a Lourdes, il Battesimo contemporaneo nel Giordano, gli emigrati di San Marco e del Cilento a San Paolo del Brasile, il cardinale Lercaro, che inaugura il primo fonte Battesimale a Santa Maria a Bologna di Nicola Sebastio.

PANNELLO NUMERO UNO

‘Il primo pannello descrive l’episodio evangelico della cattura di Gesù nel luogo detto Getsemani che il Maestro frequentava abitualmente ,posto alle pendici del Monte degli ulivi nel suo degradare verso la valle del Cedron.

Sullo sfondo è rappresentato il Signore, circondato dalla folla inviata dalle autorità del tempio per mettere le mani sul Maestro di Galilea come già premeditato da molto tempo. Gesù è rappresentato con una lunga veste rossa che contrasta fortemente con il monocolore delle altre figure ,incorniciato da un possente albero d’ulivo che richiama sinteticamente la collocazione della scena.

La veste rossa del Signore sembra introdurci nella vicenda che sta per compiersi ,la sua  passione e morte; il rosso e la porpora che , temporaneamente, i soldati faranno indossare a Gesù per farsi burle di lui; il rosso e la porpora, nella tradizione iconografica, sono il simbolo della regalità di Cristo espressa in massimo grado nel mistero della Croce.

Le vesti di Cristo, dopo, la crocifissione saranno oggetto di contesa tra i soldati, realizzazione di quanto profeticamente espresso dal salmo; a questo salmo appartengono anche le ultime parole che, stando a Marco, Gesù pronuncia sulla croce, espressione del dramma dell’umanità sofferente che rivolge al cielo il suo grido, chiedendo il perché del male e delle sue conseguenze sugli innocenti, riconoscendo che  solo da Dio, nel silenzio e nella solitudine, può giungere una risposta adeguata a questa lancinante domanda.

La meschinità e il tradimento sono rappresentate dalla figura defilata di Giuda che, dopo aver salutato il Maestro con un bacio ,sembra apprestarsi alla fuga stringendo al petto il sacchetto contenente il compenso suo tradimento; le diverse ipotesi sulle motivazioni del tradimento di Giuda cadono di fronte al gesto eloquente di questo abbraccio. Giuda bacia Cristo ma abbraccia i trenta denari, preferisce questi a lui.

La scelta di Giuda è quella del mondo che preferisce le proprie sicurezze alla sequela del Maestro che chiede di fidarsi di Lui senza troppe garanzie se non questa :il centuplo quaggiù in relazioni e la vita eterna nel mondo a venire…troppo poco, forse, per coloro che hanno il coraggio di guardare al di là del contingente, del tutto subito.

In primo piano, in particolare che rende unico il racconto della Passione secondo Marco; il giovinetto che, con addosso solo un lenzuolo, rimane a guardare la scena della cattura di Gesù, dopo la fuga dei discepoli e che ,a sua volta, dopo il tentativo di afferrarlo, fugge nudo.

Pochi versetti la cui interpretazione ,per altro molto controversa, sembrerebbe orientarsi su due direttrici, quella strettamente storica e quella simbolica. Diversi esegeti vedono in questo particolare una sorta di autografo dell’evangelista Marco, appartenente ad una famiglia benestante e di stirpe sacerdotale, come il cugino Barnaba, e figlio di una delle donne che facevano parte della cerchia dei simpatizzanti di Gesù.

Alla famiglia di Giovanni Marco apparterrebbe la sal posta al piano superiore dove Gesù aveva celebrato l’ultima cena. Dal punto di vista simbolico, invece, l’interpretazione dell’episodio sembra orientarci in due direzioni, la A) pista pasquale: qui, come al mattino di Pasqua, ritroviamo gli stessi elementi, vale a dire vale a dire un giovinetto (qui fuggitivo li seduto nel sepolcro), un lenzuolo, (qui ricopre il giovinetto per poi rimanere tra le mani di un soldato, li piegato in disparte, dopo aver avvolto il corpo del Maestro) i soldati (qui baldanzosi si avventano sul Signore, li impauriti e attoniti di fronte al mistero del sepolcro vuoto.

B) Quella di carattere escatologico: l’attualizzazione di una profezia di Amos che, in un suo oracolo di giudizio divino su Israele, affermava” in quel giorno il più coraggioso dei profeti fuggirà nudo” attribuendo all’arresto di Gesù una qualità escatologica, come intendeva il profeta usando la locuzione “in quel giorno”, cioè un’allusione alla fine dei tempi ,alla pienezza della storia umana.

Anche Cristo aveva usato un’immagine analoga nel discorso detto appunto “escatologico”.” chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello”.

PANNELLO NUMERO DUE

Il secondo pannello ci mostra l’evangelista Marco ,ormai adulto ,che ascolta e trascrive l’insegnamento dell’apostolo Pietro, fin dalla generazione sub-apostolica è stata tramandata la convinzione che Marco avesse attinto ,per la composizione del suo Vangelo, all’insegnamento di Pietro. Papia, vescovo di Gerapoli, così affermava: Marco interprete di Pietro, scrisse con esattezza , ma senza ordine, tutto ciò che egli ricordava delle parole e delle azioni di Cristo; poiché egli non aveva udito il Signore né aveva vissuto con Lui, ma , più, tardi, come dicevo, era stato era stato compagno di Pietro.

E Pietro impartiva i suoi insegnamenti secondo l’opportunità, senza l’intenzione di fare un’esposizione secondo ordinata dei detti del Signore. Il testo sembra suggerirci come Marco, divenuto adulto, dopo aver seguito Paolo e Barnaba (causando tra l’altro un diverbio tra i due), si sia, poi, aggregato a Pietro, divenendone “interprete” e quasi “stenografo”, raccogliendo così, i racconti dell’annuncio petrino che sarebbero confluiti nel suo Vangelo.

Anche Giustino, martire Apologeta, sottolinea il legame tra Pietro e Marco, definendone il Vangelo con l’espressione; Memorie di pietro”. Lo stesso apostolo infatti, così si esprime: Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Nel pannello, Pietro, in effetti, sembra proprio in atto di predicare, circondato da un particolar uditorio; oltre all’evangelista Marco, accompagnato dal suo simbolo, il leone, una serie di volti tra i quali è possibile indentificare alcuni personaggi del cattolicesimo contemporaneo: Charles de Focauld, il cardinale Lercaro, don luigi Giussani.

Quasi a dire che, attraverso lo Scritto marciano, i cristiani di ogni tempo possono essere ricondotti alla predicazione apostolica e al nucleo essenziale del Kerygma; l’evento della Resurrezione. Al di sopra del capo di Pietro, infatti, si scorgono le figure dell’angelo che reca alla Maddalena, la mirofora, l’annuncio gioioso della resurrezione del Signore. Una croce luminosa e la scritta “jerusalem” vogliono rappresentare tutto il mistero Pasquale che si attualizza sacramentalmente ogni volta nella celebrazione eucaristica, come si evince nel richiamo alla mensa eucaristica posta alle spalle di San Marco.

Non solo a Gerusalemme ma altri luoghi, in alto, a destra, sono rappresentati e richiamati: Roma, dove il principe degli Apostoli, Pietro, probabilmente intorno al 67 d.C., come la tradizione ci riporta, subisce il martirio sul colle Vaticano, crocifisso a testa in giù; Aquilea, l’antico capoluogo delle Venezie e dell’Istria, che, stando a una tradizione alto medievale, sarebbe stata evangelizzata da San Marco e dove avrebbe composto il suo vangelo (la cui composizione, se non proprio a Roma, non può essere avvenuta molto lontano dalla capitale dell’Impero) e, infine, Alessandria d’Egitto, una delle più grandi metropoli dell’antichità, sede di scuole filosofiche e mediche ma anche di fiorenti comunità ebraiche, come testimonierebbe la presenza di Marco sul finire della propria vita (Marco, ribadiamo, apparteneva a una famiglia ebraica di stirpe sacerdotale) nella città egiziana, dove avrebbe anche subito il martirio.

Clemente Alessandrino narra che nella metropoli egiziana Marco avrebbe redatto il vangelo mistico utilizzando appunti stesi durante il soggiorno romano, nonché annotazioni vergate da Pietro e rimaste nelle mani di Marco dopo il martirio dell’apostolo.

PANNELLO NUMERO TRE

Due momenti diversi dell’unica vicenda: il martirio la sepoltura. Gli atti di Marco ci informano che durante la celebrazione pasquale l’Evangelista venisse catturato dai pagani, legato e trascinato per le strade di Alessandria, tanto da segnarle con il proprio sangue, fino alla prigione.

Il motivo addotto, stando alla stesso ,è da ricercare nelle coincidenza della festa cristiana con quella in onore di Serapide, divinità greco-egiziana, il cui culto fu introdotto a Alessandria da Tolomeo I per favorire la fusione della  cultura religione egizia con quella greca; questo ci induce a pensare avessero percepito come  affronto imperdonabile la celebrazione di un culto straniero, quello, quello cristiano, durante quelle in onore della divinità sincretista. La crudele esecuzione, più che frutto di un provvedimento delle autorità, sembra, dunque, essere conseguenza di una sommossa popolare anticristiana.

L’indomani, tratto fuori dal carcere, subì lo stesso trattamento fino alla morte. Mentre lo trascinavano però, il beato Marco, elevava un ringraziamento a Gesù Cristo Pantocratore, dicendo: Nelle tue mani o Signore, ripongo la mia anima, dopo che ebbe detto ciò, il beato Marco consegnò la sua anima.

L’autore del testo attribuisce ,come ultime parole dell’Evangelista, le stesse pronunciate da Gesù al termine della sua agonia in croce. Solo il sopraggiungere di un temporale avrebbe impedito ai pagani di dare alle fiamme il corpo del Santo; anche in questo è ravvisabile un collegamento con la morte di Cristo (accompagnata da un terremoto e da una misteriosa oscurità) e un preciso intervento di Dio che avrebbe permesso di dare al suo servo fedele una degna sepoltura.

Continua così il racconto degli Atti: Allora arrivarono delle brave persone, recuperarono dal fuoco il corpo del Santo e lo portarono nella chiesa dove lo avevano trovato in preghiera. Dopo avere recitato le preghiere, gli resero gli onori funebri secondo le regole della città, e lo seppellirono in una cripta scavata nella roccia con grande rispetto, facendo la sua commemorazione in gioia e letizia perché in Alessandria aveva acquistato un patrimonio prezioso.

La scena della sepoltura ,rappresentata da Sebastio, segue il canovaccio delle Pietà o sepoltura di Cristo; il corpo del martire, sorretto da una donna dolente, viene adagiato nel sepolcro, mentre altri dolenti presentano gli ungenti previsti dal rito dei defunti. Sullo sfondo della scena dolorosa, una struttura scandita da due archi, presenta la scritta: CRISTO è RISORTO; essa ci ricorda che il martire, pur sconfitto agli occhi del mondo, muore per testimoniare la fede nel Signore che lo associa, così, alla sua vittoria sulla morte realizzatasi nel mistero pasquale.

PANNELLO NUMERO QUATTRO E CINQUE

Il centro del Mistero cristiano, di tutta la rivelazione, è il Cristo Crocifisso e Risorto; tutto ruota intorno a lui, da lui riceve luce e sussistenza. Attorno a Cristo, i giovani artisti brianzoli del gruppo spontaneo, “Arte e Comunità”, sorto per sulla scia della ricerca appassionata di Sebastio e altri, influenzati da don Luigi Giussani, padre Romano Scalfi, fondatore di “Russia Cristiana” e, attraverso questi, dalla spiritualità dell’ultimo posto, propria di Charles de Foucauld, hanno voluto rappresentare diversi episodi.

La fecondità spirituale delle Regola benedettina si protrae e rinnova lungo il corso dei secoli e attraverso tutti i territori dell’Europa medievale .Nel x secolo, il nobile longobardo, Alferio Pappacarbone, al servizio dei principi Salernitani, durante un viaggio diplomatico verso il nord Europa, a seguito di una malattia, si ritirò nel monastero di San Michele della Chiusa, nelle Alpi Cozie, dove avrebbe incontrato San Odilone, abate di Cluny.

L’Abate cluniacense condusse con se l’anziano diplomatico salernitano(appartenenza alla città ippocratica è indicata dalla rappresentazione del Duomo cittadino che custodisce le spoglie mortali dell’apostolo e evangelista Marco) nella rinomata abazia francese, faro di rinnovamento della vita monastica benedettina; qui Alferio vestì l’abito monastico e si conformò ai santi costumi di quella genia di uomini virtuosi ( il profilo dell’ormai distrutta abbazia è visibile accanto a quello del duomo salernitano).

Nel 1010, il principe Guaimaro III richiese all’abbazia cluniacense il suo antico collaboratore perché, come aveva fedelmente servito la sua casata nelle cose del mondo, ora potesse mettersi a servizio della Chiesa Salernitana attraverso la necessaria opera di riforma dei monasteri di quella città.

L’impresa tuttavia, dovette rivelarsi fallimentare se, a distanza di poco tempo, con alcuni compagni decise di ritirarsi nei pressi della grotta Arsicia, dove sarebbe sorto l’abbazia della SS.ma Trinità. Nel 1025, Alferio ottenne da Guaimaro IV il possesso giuridico della vallata in cui si era stabilito; copiose diverranno le donazioni di territori e monasteri minori da parte di principi e nobili. Nel 1050, ormai sazio di giorni, dopo aver formato numerose generazioni di monaci, tra i quali Desiderio di Benevento, il futuro papa Vittore III l’abate Alferio consegnò la sua anima a Dio.

Il pannello ci presenta Sant’Alferio in ginocchio che immerge la propria mano in tre fasci di luce che, procedendo dalla Mano del Padre, convergono verso la grotta Arsicia; nel fascio più prossimo al Santo campeggia il monogramma di Cristo mentre, in quello opposto ,si intravede la colomba dello spirito. Questa rappresentazione simbolica è rinforzata dall’inserto della celebre Trinità dell’iconografo russo Andrej Rublev.

Figure di monaci ,poi, riuniti attorno alla grotta ,mostrano le attività proprie del monastero: la preghiera e lo studio, la dimensione orante e quella intellettuale che ha reso celebre l’Ordine Cavense. Dalla grotta -abbazia scorre un fiume di grazia che irrora le terre appartenute al Monastero, raggiungendo San Marco di C.te, qui rappresentato dalla Croce Cosmica di Sebastio; una sorta di auto-omaggio dell’artista Milanese.

PANNELLO NUMERO  SEI

L’opera dei monaci cavensi, dopo la morte di Alferio, continuerà a produrre frutti di santità e di impegno sociale e civile; il IV abate cavense, San Costabile Gentilcore, originario del Casale di S.Giovanni di Tresino è ricordato dal suo biografo, Ugo da Venosa, quale uomo di carità profonda tanto da essere definito “operimentum fratrum”(mantello dei fratelli). Fin dal 1103 Costabile risulta tra i collaboratori di San Pietro Pappacarbone (già priore del monastero di Sant’Arcangelo di Perdifumo).

Considerato il secondo fondatore di Cava, avendovi importato in modo definitivo le costituzioni cluniacensi e esteso notevolmente le zone d’influenza del Monastero. In seguito a una grave malattia di Pietro, Costabile venne da questi designato come suo coadiutore con diritto di successione, il 17 di ottobre del 1118.

L’Attenzione e la premura di Costabile verso i monaci si allargava alle popolazioni soggette alla giurisdizione temporale e spirituale dell’Abbazia, in modo particolare, nel cuore del giovane abate, un posto speciale era riservato alla sua cara terra natia.

Per difendere le popolazioni cilentane dalle violenze perpetuate dai predoni provenienti dal mare come da terra. Costabile, ottenendone licenza dal duca Guglielmo, diede inizio alla fortificazione del colle che dominava quelle terre, la futura Castellabate (10 ottobre 1123); così come intraprese importanti azioni di riforma in materia fondiaria.

La figura di Costabile giganteggiava nella storia dell’Abbazia cavense e di Castellabate, così come nel pannello che lo vede, in possesso di tutte le insigne della dignità abbaziale, dominare il mare e correre in aiuto di una nave in balia delle onde e dei flutti. L’episodio, raccontato dal Venosino, mostra il continuo esercizio del patrocinio di Costabile  sull’Abbazia cavense e di Castellabate, e sui traffici marittimi che spingevano le sue navi da una sponda all’altra dei mediterraneo; il mare dei miti (in basso a sinistra la figura di Palinuro, nocchiero di Enea, morto nello specchio d’acqua prospicente l’omonimo capo, come narrato dai libri V E VI dell’Eneide ) e preziosa via di comunicazione.

San Costabile fu da subito considerato celeste protettore dei marinai al servizio dell’Abbazia. Il suo culto “ab immemorabili” fu riconosciuto da Papa Leone XIII nel 1893. Nella tela figurano due inserti: in basso, un San Marco Evangelista e in alto, al di sotto della mano benedicente dell’Eterno, la riproduzione della Santa Madre di Dio del segno di Novgorod, celebre e antica icona, ritenuta prodigiosa a causa della miracolosa liberazione dell’assedio subito dalla Città russa nel 1170.

PANNELLO NUMERO SETTE

l’ultimo dei sette pannelli realizzato da Sebastio e dai suoi collaboratori commemora il pellegrinaggio della Diocesi di Vallo della Lucania guidato da mins.Giuseppe Casale, a Roma per l’Anno Santo della Redenzione (1983-1984).

Il pannello è diviso in quattro settori da una grande croce bianca, che richiama quella esposta durante l’anno Santo nella Basilica di San Pietro e che avrebbe accompagnato tutte le edizioni delle Giornate Mondiali della Gioventù. Ai piedi della Croce, adornata da fronde d’Ulivo e percorso dalla Colomba dello Spirito, si stagliano le figure de Santo papa Giovanni Paolo II e del Vescovo di Vallo, Casale, in atto di scambiarsi l’abbraccio di comunione ,segno visibile dell’unità della Chiesa, guidata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con Lui.

Attorno alla Croce numerosi volti di donne, uomini, bambini ,tra i quali risalta quella del parroco , don Felice Fierro, che mostra un modellino della Croce Cosmica. La Croce, bianca e luminosa, unifica il Cielo e la Terra, il visibile e l’invisibile e raduna a Dio Padre un Popolo che proviene da ogni lingua, popolo e nazione; la Croce fonda la chiesa nella sua dimensione storica e metà storica.

La Croce fa dei molti una nuova Unità. Nel mondo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno ai confini della terra. Così si esprime uno dei più antichi e venerandi testi liturgici della Chiesa. Le spighe di grano e i grappoli d’uva, così come le due melagrane, una chiusa e l’altra aperta, ci parlano di questa dialettica unità molteplicità che si attualizza nella Comunione Ecclesiale attraverso la continua attualizzazione del mistero pasquale nella celebrazione eucaristica.

Tra i volti rappresentati nella folla, di profilo, si scorgono anche Giovanni XXIII e Paolo VI i due Papi del Concilio Ecumenico Vaticano II; L’insegnamento e il pontificato di Giovanni Paolo II sono il frutto del rinnovamento conciliare. Al Papa venuto dall’est, primo non italiano dopo molti secoli, è toccato il compito di indirizzare la Chiesa sul cammino tracciato da quell’evento di straordinaria rilevanza che è stato il Vaticano II. Sul braccio orizzontale della Croce sono richiamate le due encicliche del 1987, la “Rredemptoris Mater” e la “Sollecitudo Rei Socialis” Sullo sfondo, il colonnato di Bernini contiene a malapena una piazza di San Pietro traboccante di fedeli e pellegrini.

Al centro della Croce, dove si intersecano le due assi, la riproduzione di un icona di Cristo che tiene tra le braccia la Beata Vergine Maria, nel momento della sua Assunzione in Cielo.